INTERVISTA A CHIARA GIOE’ – LA TRANSAZIONE FISCALE

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DiRedazione

Mar 1, 2021

Chiara Gioè è Professoressa  di Giustizia Tributaria presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo e avvocato tributarista. Tra gli incarichi attualmente ricoperti è Vicepresidente della Camera degli Avvocati Tributaristi di Palermo, Vicepresidente dell’Unione Avvocati Europei – Sicilia Occidentale.

Scritto da :  Maria Concetta Cefalù

La transazione fiscale può rappresentare un aiuto concreto per l’imprenditore in crisi in questo periodo di emergenza sanitaria? Le recenti novità introdotte in materia porteranno ad una maggiore applicazione dell’istituto?

La transazione fiscale può indubbiamente costituire una grande opportunità per l’imprenditore che versi in stato di crisi, perché gli offre la possibilità, nell’ambito di un accordo di ristrutturazione del debito o di un concordato preventivo, di ottenere la falcidia e/o la dilazione dei propri debiti con l’agenzia delle entrate e con gli enti di previdenza.

A causa della grave crisi economica in cui versano le imprese, per l’emergenza Covid, il legislatore ha semplificato la procedura di conclusione dell’accordo transattivo, prevista dall’art. 182 ter della legge fallimentare, anticipando di fatto alcune delle disposizioni che sarebbero dovute entrare in vigore l’1 settembre 2021 con il Codice della crisi e dell’insolvenza. In particolare, con la legge 159/2020, è stata prevista la possibilità di concludere la transazione fiscale anche in presenza di voto contrario, o di assenza di voto dell’agenzia delle entrate, qualora la proposta di transazione sia ritenuta dal giudice più vantaggiosa per l’erario rispetto alla liquidazione giudiziale del patrimonio. Si tratta di un’importante novità, immediatamente applicabile dai tribunali anche alle procedure pendenti, che consente di superare due delle principali criticità incontrate in passato nella concreta applicazione dell’istituto. La prima era legata al fatto che l’Agenzia delle Entrate di regola non riteneva sufficiente la convenienza dell’operazione per approvare la transazione, finendo così per rigettare tutte le proposte di transazione avanzate dall’imprenditore che prevedessero il pagamento dei debiti tributari al di sotto di certe soglie, anche se palesemente più convenienti per l’Erario. La seconda criticità era rappresentata dai tempi troppo lunghi – in molti casi superiori ad un anno -impiegati dall’Agenzia per pronunziarsi sulle proposte di transazione, che spesso pregiudicavano le esigenze di risanamento aziendale e le possibilità di recupero del credito da parte dello stesso Erario. Certamente il venir meno di tali problematiche porterà ad una maggiore applicazione della transazione fiscale.”

Il termine transazione non è nuovo nel diritto tributario. Nel 2002 era stata introdotta la c.d. transazione dei ruoli, oggi abrogata. In cosa si differenzia l’attuale transazione fiscale rispetto alla precedente?

La vecchia transazione dei ruoli, oggi abrogata, può considerarsi un precedente dell’attuale transazione fiscale, ma presentava caratteristiche del tutto differenti. Alla c.d. “transazione dei ruoli” poteva farsi ricorso, dopo l’inizio dell’esecuzione coattiva, soltanto per i tributi iscritti a ruolo, il cui gettito era di esclusiva spettanza dello Stato. L’attuale transazione fiscale, invece, prevede che possa essere concordato il pagamento in misura ridotta o dilazionata dei crediti tributari, privilegiati e chirografari, indipendentemente dalla circostanza che siano o meno iscritti a ruolo, purché ciò avvenga nell’ambito del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Diversa era la ratio sottesa ai due istituti. Nella transazione dei ruoli l’interesse tutelato era da rinvenire nell’esigenza di assicurare una più efficace ed efficiente attività di riscossione dei tributi. Tale transazione poteva essere disposta nelle ipotesi di accertata maggiore economicità rispetto alle attività di riscossione coattiva, qualora nel corso della procedura esecutiva fosse emersa l’insolvenza del debitore o questi fosse risultato assoggettato a procedure concorsuali. Nell’attuale transazione fiscale, invece, ciò che si intende tutelare è la posizione dell’imprenditore in stato di crisi, per evitarne il dissesto irreversibile. Proprio per questo, a differenza della vecchia transazione sui ruoli, l’art. 182 ter stabilisce che la proposta di transazione fiscale possa essere presentata soltanto dal debitore, mai dall’ufficio, né dall’agente della riscossione. Differente era anche l’ambito soggettivo di applicazione dei due istituti. Nell’attuale configurazione, alla transazione fiscale possono accedere soltanto gli imprenditori che si trovino in stato di crisi e che siano soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo. Ne restano esclusi pertanto i piccoli imprenditori e tutti gli altri soggetti non aventi la qualifica di imprenditori, come ad esempio i professionisti, ai quali era invece consentito di accedere alla transazione sui ruoli.”

In suo scritto, pubblicato qualche anno fa in Rassegna Tributaria, si sofferma sul problema dell’applicabilità della transazione fiscale ai tributi locali. Sotto questo profilo la nuova transazione fiscale presenta ancora dei vuoti di tutela?

I numerosi interventi legislativi e giurisprudenziali, che si sono succeduti nella definizione degli aspetti procedurali e dell’ambito di operatività dell’istituto – non da ultimo quello giustificato dall’emergenza covid – non hanno mai affrontato il tema della transigibilità dei tributi locali, pur trattandosi di debiti fiscali che possono anche costituire la causa della crisi dell’attività imprenditoriale. Ciò stupisce soprattutto in ragione dell’evoluzione in senso federalista che ha caratterizzato le ultime riforme del nostro sistema fiscale, orientate a favore del decentramento fiscale e di una crescente autonomia impositiva in capo agli enti locali. Il graduale trasferimento di poteri e funzioni in favore degli enti locali avrebbe giustificato e reso senz’altro opportuna la previsione della facoltà di transigere i tributi amministrati da tali enti. Al contrario, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in ordine all’ambito di operatività dell’art. 182 ter ha riguardato finora soltanto la transigibilità dell’IVA, delle ritenute alla fonte e dei contributi previdenziali e assistenziali, e non anche dei tributi locali, sebbene questi, nella nuova e già avviata prospettiva federalista, siano destinati ad aumentare, sia sotto il profilo numerico, sia sotto il profilo della consistenza in termini di gettito. Se è vero, come ho detto, che il ricorso alla transazione fiscale risulta strettamente collegato all’esigenza di assicurare una composizione concordata della crisi dell’imprenditore, evitandone il dissesto irreversibile, è evidente che il perseguimento di tale finalità non possa prescindere da un’estensione dell’ambito di operatività dell’istituto anche ai crediti fiscali vantati dagli enti locali e non amministrati dalle Agenzie fiscali. Va del resto considerato che il legislatore, in sede di disciplina di altri istituti, ne ha previsto l’applicabilità anche ai tributi locali, dotando gli enti territoriali minori di autonomia nella regolamentazione degli aspetti procedurali e operativi. Basti pensare, per esempio, alla normativa in materia di “condono fiscale” previsto dalla legge finanziaria 2003, che aveva conferito agli enti locali la facoltà di disciplinare autonomamente forme di definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti, attraverso il pagamento ridotto del tributo con l’eventuale esclusione di sanzioni e interessi. Analoghe considerazioni valgono con riferimento all’avvenuta estensione anche ai tributi locali dell’istituto del reclamo-mediazione, disciplinato dall’art. 17 bis D.lgs. 546/92, inizialmente limitato alle sole controversie contro le agenzie fiscali. È difficile comprendere le ragioni della perdurante esclusione dei tributi locali dall’ambito di operatività della transazione fiscale. Né può sostenersi che tale esclusione sia giustificata dalla circostanza secondo cui il gettito di tali tributi è spesso collegato allo svolgimento di un servizio pubblico essenziale (si pensi alla Tari), che potrebbe risultare pregiudicato dalla riduzione delle entrate riscosse. L’esigenza di gettito, infatti, non è in contrasto con quella di prevenire o evitare il fallimento dell’impresa, giacché, qualora venisse dichiarato il fallimento dell’impresa, il pagamento integrale dei debiti, compresi quelli fiscali, verrebbe comunque compromesso. Per un approfondimento del tema rinvio, per chi ne avesse il piacere, alle considerazioni svolte nel mio scritto I limiti della transazione fiscale in materia di tributi locali, pubblicato in Rassegna Tributaria.”

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