Scritto da : Anna Maria Sollima
Negli ultimi anni della mia attività didattica presso il Conservatorio di musica di Palermo, in qualità di docente di Storia della musica, ho svolto il ruolo di coordinatrice in seno ad ” AlterAzione. Donne per la musica” , un progetto didattico-artistico del quale sono stata co-fondatrice insieme ad un gruppo di docenti donne dell’Istituto. L’idea del progetto è nata dalla constatazione che ancora oggi, purtroppo, persistono stereotipi e pregiudizi legati ai ruoli di genere che impediscono un pieno riconoscimento del talento delle donne nell’ambito della composizione musicale.
L’opinione ancora assai diffusa – perfino nell’ambiente degli “addetti ai lavori”- è che non siano esistite donne compositrici, tranne rare eccezioni. Le cose, invece, non stanno affatto così; un esame attento delle fonti dimostra che le donne compositrici non sono figure isolate, bensì una presenza costante attraverso i secoli. La grave lacuna nei loro confronti è dunque storiografica, non storica.
La storia della musica – così come la storia delle arti e la storia in generale – è stata scritta da un punto di vista maschile che, viziato da secolari pregiudizi sociali e culturali legati ai ruoli di genere, non ha riconosciuto rilevanza a queste fonti. E’ quindi fondamentale, in primo luogo, lavorare per ricostruire una genealogia musicale al femminile, restituendo alle compositrici del passato il riconoscimento che ad esse manca.
Solo occasionalmente, consultando un manuale di storia della musica, ci si può imbattere in nomi di compositrici, figure isolate che per di più non sembrano brillare di luce propria perché vengono ricordate esclusivamente in relazione al legame di parentela che le univa a celebri musicisti di cui erano figlie, sorelle o mogli.
Se proviamo a riflettere su quanto possa pesare la mancata conoscenza di una genealogia musicale femminile, ci rendiamo conto che pesa davvero tantissimo! Se pensiamo a quanto sia faticoso affermarsi nel campo della musica (e delle arti in genere), per le donne lo è stato – e ancora lo è – cento volte di più proprio a causa dell’assenza di riferimenti femminili autorevoli che possano incoraggiarle e farle sentire forti quando scelgono di seguire la propria vocazione artistica. E’ facile intuire quanto questa assenza possa incidere negativamente sull’autostima e il rischio che le donne possano sentirsi inadeguate, o addirittura “inferiori” rispetto ai colleghi uomini, è un rischio decisamente alto.
A questo proposito ritengo sia particolarmente significativa la frase che Clara Wieck, pianista e compositrice di grande e precocissimo talento vissuta nel XIX secolo, annota sul suo diario nel 1839 (all’epoca aveva 21 anni): “Una donna non deve volere essere compositrice. Nessuna ne è stata capace prima di me; perchè dovrei sperare di riuscirci io? Sarebbe un peccato di orgoglio”. Clara non si è arresa e per fortuna ha continuato a comporre, ma nelle sue parole è evidente il senso di inadeguatezza che provava.
Ma chi era Clara Wieck? Probabilmente il suo nome vi avrebbe detto di più se avessi subito sottolineato che era la moglie di Robert Schumann, considerato uno dei maggiori esponenti del romanticismo musicale tedesco (ma sono certa che nessuno, iniziando a parlare di Schumann, direbbe per prima cosa che era il marito di Clara Wieck). Clara non ebbe certo meno talento del marito, ma è un dato di fatto che la sua produzione sia assai più esigua rispetto a quella di Robert Schumann; ne capiamo facilmente il motivo, però, se pensiamo che Clara mise al mondo ben 8 figli, che fu lei a provvedere in prevalenza al sostentamento della famiglia con i suoi guadagni di affermata pianista concertista e che, rimasta vedova a 37 anni, intensificò ulteriormente questa attività e accettò anche la docenza di pianoforte al Conservatorio di Francoforte (unica donna, per altro, ammessa in una istituzione che all’epoca accettava solo uomini).
Voglio citarvi un’altra pianista e compositrice dell’Ottocento: Fanny Mendelssohn, sorella del più celebre Felix. Come il fratello -cui era legatissima- anche lei aveva ricevuto un’educazione musicale di altissimo livello, ma essendo donna e appartenendo ad una famiglia dell’alta borghesia, il padre le vietò sia di suonare in pubblico che di pubblicare le sue musiche. E il fratello, che pure la stimava molto come compositrice e chiedeva spesso i suoi consigli, non solo non la sostenne mai, ma arrivò perfino a colpevolizzarla per questa sua aspirazione. Ecco come Felix risponde ad una lettera di Fanny nella quale lei gli confida il grande desiderio di riprendere a comporre dopo la nascita del figlio: “ Tuo figlio si chiama Sebastian, ma non è Bach; è un bambino che ha bisogno delle cure della mamma. Ti basti godere della sua gioia. La musica deve essere messa da parte, non c’è posto per essa. O vuoi forse diventare una madre snaturata? “. E’ facile immaginare come possa essersi sentita Fanny leggendo queste parole….
Solo un anno prima di morire, sostenuta dal marito, Fanny trovò il coraggio di pubblicare alcuni suoi lavori (i primi sotto il suo nome, perché in precedenza si era dovuta accontentare di pubblicare alcune musiche sotto il nome del fratello). Oggi sappiamo che Fanny Mendelssohn ha scritto circa 500 composizioni, ma qualche raro manuale di storia della musica in cui compare il suo nome, la cita solo in quanto sorella di Felix Mendelssohn.
Non è un caso che io abbia citato queste due compositrici dell’800, perchè è proprio a cavallo fra XVIII e XIX secolo -l’epoca di Beethoven, per intenderci- che si assiste alla graduale emancipazione della condizione del musicista, che acquista maggiore prestigio ed autonomia professionale. E, ovviamente, ciò era giudicato incompatibile con i tradizionali ruoli assegnati alle donne, alle quali dunque l’attività compositiva a livello professionistico doveva rimanere preclusa.
Un caso emblematico in questo senso è quello di Maria Rosa Coccia, nata a Roma nel 1759, così straordinariamente dotata nella composizione musicale che, appena diciannovenne, in virtù del superamento di un difficilissimo esame alla Congregazione di S. Cecilia (l’attuale Accademia di S. Cecilia) ricevette un diploma che le consentì di divenire “Maestra compositora romana” -prima donna ascritta alla storia della congregazione- e di potere esercitare l’impiego pubblico di maestra di cappella nella città di Roma. Ma questa nomina suscitò violente polemiche e tale incaricò in realtà non le venne mai conferito; iniziò contro di lei una battaglia che la condannò lentamente, ma inesorabilmente, all’oblio. Nel 1832 Maria Rosa presentò alla Congregazione di S. Cecilia un’istanza per ottenere un sussidio che le contentisse di tirare avanti e le venne accordata la ridicola somma di quattro scudi. Morì l’anno successivo, sola e dimenticata come volevano i suoi detrattori, e diversamente da tutti i maestri congregati, che avevano diritto ad un funerale pubblico, nel suo caso furono giudicate sufficienti 4 messe in suffragio celebrate nella cappella della congregazione.
Molti potrebbero obiettare che si sta comunque parlando di compositrici vissute nell’Ottocento e che certamente la situazione oggi sarà diversa, dando per scontato che ai giorni nostri le opportunità per le compositrici siano decisamente maggiori. Ma le cose non stanno proprio così e per averne contezza basterà consultare una pubblicazione abbastanza recente, disponibile sia in inglese che in italiano: “European key changes for women in music and the performing arts”.1
La pubblicazione appena menzionata è stata prodotta dalla Fondazione Adkins Chiti Donne in musica, fondata dalla musicista e musicologa Patricia Adkins Chiti, che dal 1978 opera per fare emergere il lavoro delle compositrici sia del passato che contemporanee e per combattere l’iniquità culturale di cui le donne sono vittime nella musica. Oggi la sua rete rappresenta quasi 30.000 donne fra compositrici, songwriter, esecutrici, studiose; l’attività della Fondazione non si limita allo studio e alla ricerca teorica, ma promuove continuamente occasioni di esecuzione delle opere di compositrici sia del passato che contemporanee. Nell’archivio della Fondazione Donne in musica sono presenti più di 40.000 partiture. La sua fondatrice e presidentessa, Patricia Adkins Chiti -che ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere personalmente- è scomparsa improvvisamente nel 2018, ma ha lasciato la Fondazione in grado di camminare sulle proprie gambe.
La pubblicazione prima citata è stata prodotta nel 2014 dalla Fondazione Adkins Chiti in seguito alla Risoluzione sull’uguaglianza del trattamento e accesso per uomini e donne nelle arti e nello spettacolo, che nel 2009 la Commissione cultura del Parlamento europeo -all’epoca presieduta dall’onorevole Silvia Costa- ha indirizzato a tutti i governi ed istituzioni d’Europa con l’invito a mettere in pratica le proposte contenute. Un invito ancora oggi, purtroppo, disatteso……
Per capire quanto ancora questa parità di opportunità sia lontanissima dall’essere raggiunta, mi limito soltanto a citare, dalla pubblicazione della Fondazione Adkins Chiti, poche righe estrapolate dai dati riportati a pag. 44 relativamente alla Svezia, nazione notoriamente considerata fra le più progressiste e avanzate in materia di parità di diritti fra uomini e donne: “Durante le stagioni 2008/09/10 il 99% delle opere messe in scena dalle orchestre svedesi è stata composto da uomini. Durante questa stagione 2013/14 le diciannove più grandi orchestre svedesi metteranno in scena circa 1000 opere; di queste il 92,1% sono state composte da uomini (…)”. I dati riportati sono forniti dalla relazione per l’anno 2013 della KVAST (Kvinnlig Anhopningav Svenska Tonsättare) che opera per la promozione della conoscenza della musica composta dalle donne e per la sua messa in scena.
Concludo ringraziando per l’opportunità che mi è stata data di trattare un argomento che mi sta molto a cuore e colgo anche l’occasione per invitare tutti coloro che fossero eventualmente interessati ad approfondire la conoscenza dell’universo compositivo femminile a seguire Note di donne degne di nota, format che sto attualmente curando, ogni primo martedì del mese alle ore 17, sulle pagine social dell’Associazione Amici della Musica di Palermo.
1 La pubblicazione è reperibile sul sito . https://issuu.com/donnemusica/docs/european-key-changes-for-women-in- music. Da pag. 39 è consultabile la traduzione in lingua italiana.
M° Anna Maria Sollima, laureata col massimo dei voti e la lode in Lettere moderne all’Università di Palermo, Musicologa, già docente di Storia ed estetica della musica presso il Conservatorio Statale “Alessandro Scarlatti ” di Palermo,