Scritto da : Maria Concetta Cefalu’
Chiara Gioè è Professoressa di Giustizia Tributaria e Diritto Tributario dell’impresa all’Università di Palermo presso il Dipartimento di Giurisprudenza e Avvocato tributarista.
Tra gli incarichi attualmente ricoperti è Vicepresidente dell’Unione Avvocati Europei – Sicilia Occidentale e Coordinatrice del Comitato di Studi sulla crisi d’impresa dell’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche in materia tributaria.
A lei abbiamo chiesto qualche chiarimento sulla recente modifica legislativa che ha escluso la possibilità di impugnare gli estratti di ruolo.
Il legislatore ha da poco approvato una legge che impedisce di impugnare gli estratti di ruolo. Cos’è cambiato esattamente rispetto al passato?
“La recente modifica legislativa, inserita nel comma 4 bis dell’art. 12 del D.P.R. 602/73, ha previsto, da un lato, la non impugnabilità dell’estratto di ruolo e, dall’altro, la non impugnabilità del ruolo e della cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata, per il tramite dell’estratto di ruolo, ad accezione di tre limitate ipotesi, che riguardano tutte casi in cui il contribuente intrattiene rapporti con la pubblica amministrazione.
La prima parte della norma non rappresenta una novità. L’estratto di ruolo non è mai stato impugnabile, ma lo sono sempre stati gli atti in esso indicati. L’estratto di ruolo non è di per sé un atto lesivo. Non è altro che un riepilogo di altri atti, formato dall’agente della riscossione e rilasciato al contribuente che ne abbia fatto richiesta.
Il problema si pone con la seconda parte della norma, perché impedisce, a differenza del passato, l’impugnazione degli atti enunciati nell’estratto di ruolo, anche nel caso in cui tali atti non siano stati notificati. Con la riforma si è esclusa la possibilità di ottenere l’annullamento delle cartelle di pagamento invalidamente notificate delle quali si è venuti a conoscenza tramite gli estratti di ruolo. In questi casi il contribuente, per poter far valere il vizio di notifica, dovrà necessariamente attendere che prosegua il procedimento esecutivo fino alla notifica di un successivo atto impugnabile (iscrizione ipotecaria, fermo amministrativo di beni mobili registrati, pignoramento, ecc.).”
Quali sono le motivazioni che hanno portato a questa riforma?
“La ragione che ha portato a tale riforma sembra essere stata l’eccessiva mole del contenzioso in materia di riscossione, ritenuto sovente pretestuoso, che costituisce circa il 40% delle liti tributarie.
In realtà la novella ha soltanto spostato in avanti il problema. Da una tutela immediata si è passati a una tutela differita. È vero che il contribuente non potrà agire più sulla base dell’estratto di ruolo, ma non appena riceverà l’atto impugnabile successivo lo impugnerà sempre per gli essi motivi che avrebbe fatto valere impugnando la cartella per il tramite dell’estratto di ruolo. Quindi non si riduce il contenzioso, si sposta soltanto in avanti.
Nel frattempo si impiegheranno risorse dell’amministrazione in una procedura esecutiva mal-instaurata, destinata ad essere annullata in un momento successivo per vizio di notifica dell’atto sul quale si fonda, con inutili costi che alla fine ricadranno su tutta la collettività.
Mi domando allora quale sia il beneficio per il sistema di una simile riforma.
Se occorreva limitare o impedire la presentazione di azioni giudiziarie pretestuose in materia di riscossione si sarebbe potuto incentivare il ricorso a strumenti già previsti dall’ordinamento, ma spesso poco o male utilizzati nella pratica, come la condanna per lite temeraria.”
Secondo lei questa riforma è legittima o viola il diritto di difesa del contribuente?
“A mio avviso con la novella c’è stata una grave lesione del diritto di difesa, garantito dall’art. 24 della nostra Costituzione.
Quando c’è un difetto di conoscenza il contribuente deve essere messo nelle condizioni di potersi difendere subito, per la pienezza del suo diritto di difesa. Non deve aspettare il successivo atto lesivo.
Ci sono molti casi in cui la mancata cancellazione, o il semplice ritardo nella cancellazione, di un’iscrizione a ruolo può causare gravi danni al contribuente, anche quando non vi siano rapporti con la pubblica amministrazione.
Si pensi alla fattispecie – non rara – in cui l’assicurazione, appresa la notizia di iscrizioni a ruolo a carico di un imprenditore, revochi le garanzie prima concesse ai fornitori per le somme dovute dal soggetto passivo, con la conseguenza che a questi potrà essere richiesto il pagamento anticipato su tutti gli acquisti effettuati, anziché quello posticipato (a novanta o centoventi giorni dalla consegna) come di regola avviene nella prassi commerciale. Si consideri ancora la difficoltà di ricevere finanziamenti da parte degli istituti di credito, collegata alla sussistenza di iscrizioni a ruolo, o al caso in cui l’esecuzione venga avviata con un pignoramento presso terzi. In quest’ultimo caso la tutela del contribuente potrebbe sovente risultare tardiva, perché non c’è alcun preavviso prima dell’atto espropriativo. Non è da sottovalutare poi la violazione del diritto di difesa nel caso di insinuazione al passivo fallimentare, che com’è noto, si può fare anche soltanto con sulla base degli estratti di ruolo.
Ma i problemi di legittimità costituzionale della norma si pongono anche rispetto all’art. 3 della Costituzione.
È evidente che la novella ponga problemi di disparità di trattamento non soltanto tra i destinatari della medesima cartella di pagamento – tra coloro che hanno ricevuto la notifica e quelli che invece non l’hanno ricevuta – ma anche tra i destinatari di una cartella non notificata e di una avviso di accertamento esecutivo non notificato, atteso che a questi ultimi la novella non può ritenersi applicabile.
I profili di illegittimità della riforma si pongono anche rispetto al diritto unionale e alla Convenzione per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui tutelano il diritto di ogni persona al rispetto di propri beni. L’impossibilità di eliminare le iscrizioni a ruolo e la conseguente minaccia permanente sui propri beni impedisce al contribuente di godere a pieno dei propri beni e costituisce un pregiudizio al loro godimento.”
Prof. avv. Chiara Gioè – Avvocato tributarista
Docente di Giustizia Tributaria e Diritto Tributario dell’impresa – Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo
Coordinatrice del Comitato di Studi sulla crisi d’impresa dell’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (A.N.T.I.) Sicilia. occid.
Vicepresidente dell’Unione Avvocati Europei (U.A.E.), Delegazione Sicilia occidentale.